Raccontaci la tua storia professionale, il modo in cui ha scelto la tua attuale professione e in che cosa consiste il tuo lavoro, con riferimento, se vuoi, a uno o più progetti in particolare.
Lavorare a teatro è stato un caso, qualcosa che è capitato senza inizialmente volerlo, mi ero infatti iscritta all’università e, come tutte le persone che non volevano gravare sulla propria famiglia, cercavo il solito ‘lavoretto’ che mi desse la possibilità di avere un po’ di indipendenza. Per puro caso conobbi un’amica di un’amica di mia madre, Donatella Maggio, figlia dell’attrice Rosalia Maggio, la quale mi propose di lavorare con lei al Teatro San Ferdinando che all’epoca era gestito dall’ETI. Avrei dovuto occuparmi della vendita degli spettacoli alle scuole, non avevo idea del tipo di lavoro che mi aspettava, provai a farlo, ma non mi piacque molto, rinunciai quasi subito e mi dedicai ad altro. Dopo un po’ l’ETI chiuse il San Ferdinando e Donatella passò al Teatro Nuovo e mi richiamò, proponendomi questa volta di aiutarla come segretaria di produzione. E così mi sono ritrovata al Teatro Nuovo, gestito allora da Igina di Napoli e Angelo Montella, praticamente un laboratorio teatrale a scena aperta, un mondo completamente nuovo per me, ma estremamente affascinante che mi ha chiaramente catturata sin da subito. Mi piaceva talmente tanto quel lavoro che ormai studiavo a tempo perso, e infatti ci ho messo un po’ a laurearmi. Gli anni trascorsi al Teatro Nuovo mi hanno insegnato tantissimo, inizialmente mi occupavo di tutto ciò che riguardava i rapporti con il Ministero della Cultura, facevo i cosiddetti bilanci ministeriali che all’epoca si facevano a mano, e poi poco alla volta ho cominciato a seguire anche la produzione. Nei sette anni in cui ho lavorato al Teatro Nuovo, ho anche avuto il tempo di sposarmi e di fare una figlia, ma ciononostante non ho mai abbandonato il lavoro a teatro.
Lavorare con Igina Di Napoli e con Angelo Montella mi ha consentito di innamorarmi del teatro, ancora oggi sono a loro molto grata. Come accade per le scuole elementari, loro mi hanno dato quelle basi che ancora oggi sono le fondamenta della professionalità che ho costruito.
Poi ho lasciato quell’esperienza perché cominciavo ad avvertire la necessità di crescere e ho iniziato a lavorare con Renato Carpentieri e Lello Serao per la compagnia Libera Scena Ensemble che era stata appena recuperata dalla vecchia gestione di Gianni Pinto. Dopo qualche anno mi sono messa di nuovo in gioco e da lì ho avuto una lunga carriera di amministratrice di compagnia. Per diversi anni sono stata in tournée per tutta Italia con compagnie per lo più romane: Gianluca Guidi, Lina Sastri, Franco Oppini e Ninni Salerno, Claudio Mattone, la Bis di Marioletta Bideri. In quel periodo cominciai a ‘specializzarmi’ nel disbrigo di pratiche ministeriali e, dopo essere riuscita a risolvere un annoso e complesso problema della compagnia Libera Scena Ensemble, il mio nome iniziò a circolare e iniziai a essere chiamata da diverse compagnie per risolvere le loro questioni amministrative. Questo fece di me una persona che girava per l’Italia, avevo una figlia piccola che lasciavo spesso con mio marito, ma andavo ovunque a cercare di risolvere i problemi di altri. Naturalmente sono stati anni di grande formazione perché ho imparato moltissimo, ho conosciuto tante persone con cui sono rimasta in buoni rapporti, nonostante il mio pessimo carattere.
Le donne amministratrici di compagnia adesso sono molte più di prima, è un ruolo che viene ricoperto soprattutto all’inizio della carriera professionale, per poi passare in un secondo momento a cariche organizzative o nella produzione, nella distribuzione, potremmo dire che si è delineato quasi un percorso di carriera.
Il lavoro di amministrazione di compagnia, il mettersi in viaggio con altre persone, con la parte artistica e la parte tecnica, mettere in scena uno spettacolo, ti dà la possibilità di vivere tutto l’arco produttivo in ventiquattro ore, da quando si scarica il camion per il montaggio al rapporto con il teatro che ti ospita, dal controllo borderò e quindi la SIAE, e chiaramente tutto questo ti fa scuola, hai la possibilità di conoscere e seguire tutto il processo produttivo. Dopodiché puoi applicare le conoscenze acquisite anche in una struttura istituzionale come la Fondazione o in un teatro o gestendo le attività di una compagnia dal punto di vista della distribuzione, la nota dolente del nostro settore, è difficilissimo trovare una persona che sappia distribuire gli spettacoli. Per come la vedo io, per quella che è stata la mia esperienza, per quella che è stata la mia scuola, chi vuole lavorare in ambito teatrale dovrebbe partire dal seguire una compagnia, così da avere una visione d’insieme e avere la possibilità di capire cos’è il teatro.
Tornando al tuo percorso professionale, hai citato delle realtà che in modo diverso hanno avuto e hanno un ruolo fondamentale nel rapporto con la città, dal San Ferdinando al Teatro Nuovo e infine la Fondazione Campania dei Festival, per quanto hai raccontato di aver viaggiato tanto, alla fine sembra che ci fosse una trama nel dover poi lavorare in un’istituzione molto radicata nel territorio.
Lavoro per la Fondazione fin dalla prima edizione del festival, ricordo che era il 2008, stavo appunto rientrando da una tournée che avevo appena chiuso, uno spettacolo con Ninni Salerno e Franco Oppini per una produzione romana, e mentre ero in treno mi chiamò un collaboratore di Renato Quaglia per chiedermi se avessi voglia di curare la SIAE del nascente Napoli Teatro Festival Italia. Mi fu affidato un primo incarico di un mese, il tempo necessario a svolgere le pratiche SIAE per il Festival, e adesso, a distanza di più di dieci anni sono ancora qua. Anche all’interno della Fondazione Campania dei Festival ho fatto veramente tante cose e ricoperto ruoli differenti: ho cominciato con la SIAE, ho seguito aspetti amministrativi prima, amministrativi-organizzativi poi, fino a diventare nel 2016, con la direzione di Ruggero Cappuccio, la responsabile dell’ufficio organizzativo.
Essere al Festival in questo particolare momento storico è veramente un’esperienza di grande arricchimento, soprattutto adesso, con la gestione di Ruggero Cappuccio, abbiamo a che fare con moltissime realtà: grandi compagnie nazionali ed internazionali ma anche piccole realtà appartenenti al teatro sociale. C’è un contatto con il territorio molto più sentito e molto più profondo. Già dall’edizione 2020 e quindi poi anche nella prossima del 2021 abbiamo fatto e facciamo i conti con la voglia di rimettersi in gioco da parte degli artisti, ma soprattutto con le difficoltà di questo settore che chiaramente è fermo e ha voglia di ricominciare. Il Festival, devo ammetterlo, è parte di me: lavorare con la direzione di Ruggero Cappuccio, e con l’occhio attento di Nadia Baldi, ha consentito a noi tutti di crescere, scambiare opinioni e, nello specifico, per quanto mi riguarda, di aiutare a plasmare questo enorme contenitore di eventi e farlo diventare quello che poi il pubblico andrà a vedere. La nuova sfida, già iniziata lo scorso anno, di cimentarsi con spazi all’aperto e trasmettere agli artisti l’idea che il teatro all’aperto funziona ugualmente e con grande forza è qualcosa che personalmente mi dà grande soddisfazione.
Durante la pandemia il Festival è diventato per necessità uno spazio di sperimentazione ancora più grande e inoltre riveste il compito importante di mantenere attivo un dialogo con la comunità e, integrandosi con tutti gli equilibri nella vita teatrale dell’intera regione, con le compagnie, anche quelle piccole, con le realtà del teatro sociale, è anche un’importante occasione di produzione di spettacoli. Credi che negli ultimi anni sia cambiata la funzione del festival?
Il Festival è ormai parte integrante del tessuto teatrale della città ed è forse diventato anche un luogo di accoglienza, l’ho visto l’anno scorso quando le persone venivano a vedere gli spettacoli dopo i tre mesi di reclusione, non solo c’era la volontà di tornare a teatro, ma c’era proprio la volontà di confrontarsi su cose che fossero belle, parlare di arte o di cultura, di incontrarsi tra l’altro in luoghi all’aperto. A nostra volta, tutti noi che avevamo lavorato per questo, avevamo voglia di sentirci accolti da loro, c’è stato esattamente uno scambio da questo punto di vista che va aldilà dell’evento spettacolare. Il teatro era sicuramente il collante, però si avvertiva la necessità dell’incontro oltre la bruttura di quello che avevamo vissuto e che purtroppo stiamo ancora vivendo.
In che modo essere donna influenzato il tuo percorso formativo e professionale? C’è stato un momento in cui essere donna è sembrato un problema nello svolgimento della tua professione e in che modo tutto questo ha influenzato il tuo punto di vista sul sul teatro? Hai accennato brevemente a una figlia…
Inizialmente il mio essere donna mi ha dato una forte spinta motivazionale, sono del ’66 e ho vissuto gli anni in cui l’affermazione delle donne da un punto di vista lavorativo doveva assolutamente emergere, in un modo o nell’altro dovevamo sentirci al pari degli uomini. In famiglia mia madre per prima mi diceva che non avevo bisogno di studiare, perché tanto mi sarei sposata e non avrei avuto tempo per fare altro, e questo chiaramente ha aperto un enorme conflitto esistenziale tra noi, ma ha rappresentato anche la spinta ad andare avanti, a percorrere la mia strada e ad affermarmi. Nel corso della mia carriera lavorativa il più delle volte mi sono confrontata con gli uomini, anche da amministratrice di compagnia gestivo perlopiù un folto gruppo di uomini tecnici, il che significa sviluppare in qualche modo autorevolezza, volenti o nolenti, per far sì che una donna che ha un ruolo importante sia ascoltata al pari di un uomo che riveste lo stesso ruolo. Nei primi anni questo è stato veramente complicato, al Teatro Nuovo per fortuna ho avuto come madrina Igina di Napoli, che, ho proprio necessità di ribadirlo, è riuscita a imporsi e ad affermarsi al pari di un uomo, ed è stata per me un esempio di donna da seguire dal punto di vista lavorativo.
Poi nel momento in cui sono approdata in una struttura pubblica come la Fondazione Campania dei Festival è stata piuttosto dura e ho faticato per arrivare a fare quello che desideravo fare, ho impiegato quasi nove anni, e in questo c’entra sicuramente l’essere una donna. Probabilmente, un uomo nelle mie stesse condizioni ci sarebbe riuscito molto prima. Però ci sono arrivata lo stesso, quindi dal punto di vista della mia soddisfazione personale sono molto contenta.
Come donna è stato difficile anche coniugare il lavoro con la vita privata, con l’essere madre, l’essere moglie. Ho avuto la fortuna di avere un marito che ha molto capito il mio piacere nel fare questa professione, quindi ha sopperito molto alle mie assenze per lavoro e lo ha fatto con amore ed è stata una cosa molto bella da parte sua, mia figlia fino a una certa età mi ha molto rimproverata per l’assenza, adesso, nell’ottica dello scontro generazionale e in quello più specifico madre-figlia, lei tende ad assomigliarmi: la vedo, un po’ come ero io, alla ricerca della propria indipendenza e affermazione ma la lotta, per questi giovani, è diversa, è più dura, loro malgrado. Credo che essere donna in questo mondo e riuscire a fare quello che ti piace è sicuramente molto più gratificante, gli uomini vivono l’affermazione professionale più come una cosa normale, per noi donne ci vuole sempre un pochino in più per arrivare e quindi io provo grande gioia per il fatto di essere riuscita a fare un lavoro che amo, nonostante gli ostacoli vari.
Esiste dal tuo punto di vista una questione di genere nel teatro oggi?
Io rappresento un ambito molto particolare del settore, perché è vero che noi facciamo teatro, ma è anche vero che siamo parte di un’istituzione e di un sistema molto burocratico e in questo sistema il problema di genere esiste senza alcun dubbio. In ambito artistico e organizzativo devo dire che oggi la questione di genere è molto meno marcata, la percentuale di donne che si sono affermate professionalmente sia da un punto di vista artistico che manageriale è molto alta ed è costituita da donne molto capaci e intelligenti, e quando tra donne ci si incontra sulle intelligenze, sulla capacità manageriale, il confronto è veramente stimolante, non che con gli uomini non lo sia ovviamente, ma è una cosa diversa.
L'intervista è stata realizzata da Stefania Bruno e Loredana Stendardo nel mese di marzo 2021 nell'ambito del progetto Donne e impresa teatrale in Campania