Alina Narciso, regista e drammaturga, cresciuta tra Morcone e Benevento, e formatasi a Napoli, ha svolto la sua professione artistica tra Italia, Spagna e Sudamerica. Direttrice della compagnia teatrale italo-cubana Metec Alegre, da sempre impegnata nella lotta per la parità di genere, ha ideato e diretto il Festival internazionale La Escritura de la/s Diferencia/s che da vent’anni a questa parte ha come obiettivo di dare visibilità al lavoro delle donne a teatro e creare una comunità di artiste capaci di realizzare forme di collaborazione tra loro, non solo per promuovere il lavoro di ciascuna, ma anche per costruire veri scambi artistici e intellettuali. Nelle risposte che seguono Alina Narciso prova a sintetizzare la sua lunga carriera artistica e a fare il punto sulla questione femminile in ambito teatrale, in vista dell’evento Illumina, rete, teatro, donne che si terrà a Napoli, al Teatro stabile d’innovazione Galleria Toledo dal 18 al 20 novembre 2022.
Raccontaci la tua storia professionale, il modo in cui hai scelto di dedicarti al teatro e in che cosa consiste il tuo attuale lavoro, con riferimento, se vuoi, a uno o più progetti in particolare.
Il teatro mi è entrato dentro il giorno in cui andai a vedere il Living Theatre, in tournée a Benevento. Fu come un’epifania. Erano gli anni della repressione in Argentina e in Chile e il gruppo portava in scena uno spettacolo sui desaparecidos, di cui ancora ricordo la scena della tortura. Ho iniziato a fare teatro quando poi mi sono trasferita a Napoli per studiare all’Università L’Orientale, dove all’epoca esisteva un corso di laurea con indirizzo spettacolo. Cominciai con l’affiancare, alla teoria dei corsi universitari (ricordo i mitici corsi di Wanda Monaco), la pratica dei laboratori, che a quel tempo di messa in discussione delle Accademie, erano la forma più diffusa di formazione. Poi, con il mio primo gruppo teatrale, animati da una grande inquietudine, cominciammo ad autoprodurre percorsi formativi.
Erano i primi anni ’80 e a Napoli, città dalla fortissima tradizione locale, non arrivava molto e così cominciammo a organizzare seminari con maestri che venivano da fuori. E fu così che i miei primi maestri sono stati Coco Leonardi, argentino, fondatore della Comuna Baires ed Eugenio Ravo, assistente di Decroux, ma poi anche Antonio Neiwiller, che segnò il mio passaggio al teatro professionale. Come dico ai giovani che vogliono fare teatro, non siamo noi che scegliamo il teatro, ma è il teatro che ci sceglie, nel mio caso, fu Antonio Neiwiller il demiurgo – qual era! – di questo passaggio con un progetto, visionario per l’epoca, di una residenza teatrale a Morcone.
Quella esperienza resta un ricordo mitico per tutti quelli che l’hanno vissuta tra desiderio di sperimentare e la difficoltà del quotidiano: giornate animate solo da utopia e passione per un teatro “diverso”, lontano dalle convenzioni del teatro ufficiale, come si diceva in quegli anni. Tra i tanti compagni di viaggio, voglio ricordare Sasà Cantalupo, che purtroppo non c’è più, con il quale ci siamo ritrovati nel 2015 per fare le prove di un mio spettacolo Cuento de Aguas para voces y orquesta nelle quali lavoravano insieme la mia compagnia teatrale cubana e il gruppo di lavoro napoletano. Di nuovo una residenza teatrale a Morcone, dopo circa 30 anni, in fondo con gli stessi sogni e ideali! E forse, proprio questa residenza rappresenta un punto di sintesi del mio percorso artistico: una lunga ricerca sulla possibilità di dialogo che il teatro rappresenta, sull’incontro tra le culture, sulle differenze culturali e la ricchezza che rappresentano, anche e soprattutto nelle diverse modalità di “spettacolo”, orientata allo sviluppo di un linguaggio fondato sull’ibridazione e la ricchezza del meticciato culturale. Un percorso artistico diviso tra mondo ispanico – prima Barcellona dal 1996 al 2000 e poi Cuba dal 2011 ad oggi – e un continuo e testardo ritorno a Napoli.
Ma ritorniamo indietro agli anni, dal 1996 al 2000, in cui vivevo e lavoravo a Barcellona. Avevo vinto un bando del MAECI per un progetto di ricerca, con il patrocinio dell’Unesco, per la creazione di una compagnia multiculturale composta da attori di differenti paesi, prevalentemente di origine afro. Sono stati anni di grande crescita culturale e artistica, sono stati gli anni in cui, nella multietnica Barcellona di quei tempi, ho potuto sperimentare e approfondire la mia linea di ricerca. Nel 2000 rientro a Napoli per il debutto dello spettacolo Muna Anyambe – spettacolo basato sulla mitologia della creazione africana e risultato di quella ricerca – e ricevo un premio come miglior drammaturgia scenica dell’anno, la cui motivazione ben definisce le caratteristiche del mio lavoro. “Navigando tra le lingue e le scene lungo le rotte del suo nomadismo, la sua ricerca si sviluppa intorno ad una proposta di teatro multietnico in cui tradizioni, linguaggi, mitografie e ritualità si integrano, e il dialogo di culture è approdo di una nuova sensibilità artistica e civile”.
Sempre in quegli anni è nata La Escritura de La/s Diferencia/s, nata da una semplice osservazione empirica. A seguito di una ricerca sulle programmazioni dei teatri spagnoli scopro che i palcoscenici spagnoli, come quelli italiani, brillavano per un’assenza: quella del teatro con regie o drammaturgie femminili. All’epoca avevo un doppio ruolo, da una parte c’era il progetto della compagnia multietnica, e dall’altra lavoravo con l’Istituto Italiano di Cultura come Addetta culturale, e così decisi di organizzare una rassegna dedicata al teatro scritto da donne e, al mio rientro in Italia, a Napoli, organizzo l’appuntamento italiano collegato all’evento di Barcellona. In quella prima rassegna presentammo, in forma di mise en éspace, i testi di due drammaturghe catalane, di Marina Confalone e un testo mio. Era il 2000, e così nacque La Escritura de la Diferencia. Le prime quattro edizioni coinvolsero Italia, Spagna, Portogallo, Argentina e Cuba e poi ci fu il trasferimento a Cuba … da allora la strada fatta è stata molta… Basti dire che oggi La Escritura de la/s Diferencia/s è un festival internazionale di teatro delle donne, con sede a Cuba, al quale partecipano quattordici paesi dell’America Latina più Italia e Spagna e di cui stiamo festeggiando i 20 anni.
Nel 2000 ritorno a Napoli e comincio a lavorare a Galleria Toledo: sono stati anni intensi, caratterizzati da una dimensione di gruppo, di lavoro collettivo, animati dal desiderio di contribuire alla rinascita culturale che in quegli anni la nostra città stava vivendo. Il mio specifico continuavano ad essere i progetti internazionali, ricordo con particolare emozione l’evento Napoli/Buenos Aires: andata e ritorno, con la partecipazione di Fernando Solanas, Laura Bonaparte, delle Madri di Plaza de Mayo, la mia messinscena Volver… E credo si possa dire che la mia attività si sia sempre caratterizza per l’articolazione e l’intreccio di direzioni artistiche, scrittura drammaturgica e regie in progetti con una forte proiezione internazionale nei quali “la motivazione politico-culturale” origina e fa da contesto a progetti più specificamente artistici. Ma sono essenzialmente una regista. La scrittura, la drammaturgia ha rappresentato, all’inizio, un aspetto importante, motivante, del mio lavoro ma, a poco a poco, la regia ha prevalso, soprattutto da quando, grazie, o a causa, di La Escritura de la/s Diferencia/s ho cominciato a mettere in scena i testi di altre drammaturghe. Mettere in scena i testi di altre mi è sembrata una forma necessaria di “impegno”, coerente con l’intento del festival – dare visibilità al lavoro delle donne nel teatro – che ho fondato in quel lontano 2000 e che, con gli anni, è diventato sempre più predominante nel mio lavoro, un mostro che si mangia tutto il mio tempo e dal quale, lo confesso, a volte sento la tentazione di liberarmi! Ad ogni modo, l’ultimo spettacolo che ho messo in scena – La sombra protectora – è uno spettacolo basato sulle poesie di Teresa Melo, una poetessa cubana, molto nota in America Latina, che amo molto e che ho anche tradotto. Avevo la necessità di uscire fuori dal linguaggio teatrale, di prendere aria e confrontarmi con qualcosa che rappresentasse una sfida, che mi aprisse altri canali di lettura della realtà… Che cosa meglio della poesia? Sentivo oscuramente che qualcosa stava per succedere e che bisognava affidarsi alla poesia, alla bellezza dell’arte, per ritrovare un cammino.
Ma ritornando indietro, nel 2009, “sulle rotte del mio nomadismo”, con il progetto di coproduzione dello spettacolo Cuento de Aguas – un lavoro incentrato su un processo d’ibridazione di lingue e musica della tradizione teatrale e musicale cubana e napoletana – ha avuto inizio il mio rapporto con Cuba. Quando sono partita non pensavo che la mia vita sarebbe cambiata tanto… ma poi, a poco a poco, si è creata una compagnia stabile, riconosciuta dal Ministero di cultura cubano – Metec Alegre en Cuba – con un proprio repertorio. Molti gli spettacoli teatrali realizzati, ricordo solo quelli presentati anche in Italia – nel mio testardo tentativo di mantenere aperto il canale con l’Italia – Striptease; La Audiencia del los Confines; Cuento de Aguas para voces y orquesta; La Lupe, con il diavolo nel corpo. E poi La Escritura de la/s Diferencia/s – di cui sono direttrice artistica – che diventa un festival ufficiale del Ministero della cultura cubana, con un gruppo di lavoro fisso che si dedica all’organizzazione… impossibile il suo rientro in Italia! E così, quasi rendermene conto, il lavoro a Cuba è diventato predominate… poi la pandemia, che ha rappresentato una pausa di arresto e poi chissà…
In che modo essere donna ha influenzato il tuo percorso formativo e professionale?
Ho iniziato a essere femminista che ero quasi una bambina per un semplice e istintivo sentimento di ribellione ai troppi divieti che comportava l’essere donna, ai modelli imposti. Negli anni ’70, ovvero durante gli anni del liceo a Benevento, ho fatto parte di quel grande movimento femminista che, tra i tanti suoi obiettivi, si è battuto per la legge sull’aborto, tuttora vigente. Ripensando a quei tempi, sembra sia passato un secolo! Il modo di pensare la vita delle donne, all’epoca, era da primo Novecento: uscire da sola, di sera, per una donna era già considerato uno scandalo. Ricordo che uno degli slogan di quegli anni era: riprendiamoci la notte! La militanza politica è stata centrale nella mia vita fino ai primi anni ’80, il teatro è venuto dopo. Ma forse è stato proprio il mio essere istintivamente e intimamente femminista che mi ha permesso di assumere, senza pormi troppe domande, un ruolo che nel teatro, a tutt’oggi è prevalentemente maschile, il ruolo di regista.
C’è stato un momento in cui essere donna ti è sembrato un problema nello svolgimento della tua professione?
Devo dire che nei primi anni del mio percorso professionale, se ho incontrato ostacoli dovuti al mio essere donna, non ne sono stata consapevole. È stato solo dopo, negli anni a Barcellona, che ho ricominciato a riflettere sulle tematiche del teatro e del genere. Curiosamente, interessarmi alle differenze culturali rappresentò il “ponte” che mi fece ritornare a occuparmi delle differenze di genere, ma in un’ottica completamente diversa: non più il femminismo “emancipazionista”, rivendicativo, degli anni ’70, ma un femminismo che si batte per il riconoscimento delle differenze. È stato allora che è nata La scrittura della differenza, che, intrecciandosi con la mia ricerca sulle differenze culturali ed etniche, ha rappresentato il mio ritorno al femminismo. In questo senso, il mio è stato un percorso circolare: dal femminismo alle differenze culturali e ritorno. In quegli anni ’90, fu fondamentale, per me, l’incontro con gli scritti di Luce Irigaray che sosteneva che l’uguaglianza di diritti non dovesse significare un’omologazione al modello maschile. Con il passare degli anni questa “pensiero” si è trasformato in richiesta di diritti e pratica di spazi di libertà, ma prima di allora il canone dominante “WASP (Bianco Anglo-Sassone Protestante) e maschio” non veniva messo in discussione: c’era una tendenza a uniformarsi a un modello generale. La grandezza di Luce Irigaray è stata quella di dire che siamo diversi e che l’uguaglianza di diritti e l’apertura di spazi di libertà nella società non deve corrispondere a una omologazione. Così è nata La Escritura de La Diferencia. Il riferimento al titolo del libro di Jaques Derrida, La scrittura e la differenza, non è casuale e difatti, successivamente, abbiamo aggiunto una “s”, proprio per rafforzare l’idea che le differenze di genere incrociano quelle culturali, etniche e di classe. Oggi mi colloco in quello che viene definita l’ultima ondata del femminismo latino-americano, attento alle differenze culturali, etniche e anche di classe e che, in tal senso, si differenzia dal femminismo nordamericano ed anche in parte europeo.
Qual è il tuo punto di vista sulla questione di genere nel teatro di oggi?
Credo di aver già risposto prima, quel che mi resta da dire a questo proposito è che, nonostante tutti gli sforzi fatti, il mondo del teatro risulta essere uno dei settori più arretrati della nostra società, presentando percentuali di presenza femminile più basse di altri settori lavorativi (quali ad esempio il mondo scientifico e accademico storicamente caratterizzati da gap di genere). Anni di manifestazioni, eventi, prese di posizione volti a dare visibilità al lavoro delle donne e a sottolineare la necessità di un riequilibrio, non hanno cambiato molto il panorama teatrale: il gap di genere nei vari ambiti dello spettacolo dal vivo continua a essere vergognosamente ampio. Questa realtà avrebbe dovuto obbligare il mondo dello spettacolo a riflettere su se stesso e sul suo stesso ruolo nella società contemporanea: a chi si rivolge un teatro così diseguale? Non di certo al suo pubblico prevalentemente femminile, né alle giovani generazioni attraversate da forti richieste di protagonismo e, se lo paragono a altri settori lavorativi, l’immagine che mi sovviene è quella di una balena spiaggiata: un corpaccione incastrato in vecchi lacci, incapace di liberarsi e riprendere il mare, incapace di riformare se stesso per continuare a svolgere la funzione culturale e trasformativa – veicolare desideri, bisogni e realtà presenti nella società – che gli sarebbe propria È per questa ragione che nel 2021, grazie anche alla lunga permanenza in Italia a causa della pandemia, abbiamo intrecciato di nuovo i fili di lunghi anni di collaborazione con Bruna Braidotti, e grazie alle nuove energie delle giovani donne della cooperativa En Kai Pan, ci siamo rimesse in azione e insieme abbiamo organizzato a Pordenone un incontro nazionale di operatrici delle spettacolo volto a creare una Rete per la parità di genere nelle arti performative. Certo l’esperienza ha contato e quello che nel 2006 non era stato possibile – la creazione di una Rete – è diventato realtà. Stanche dell’evidente ed enorme diseguaglianza di genere che persiste in ambito teatrale, il primo anno di attività della Rete è stato caratterizzato dalla condivisione di obiettivi politici. Certamente abbiamo ottenuto un obiettivo – l’approvazione delle emendamento alla Legge Delega dello spettacolo, che chiede di tenere conto dell’equilibrio di genere nella ripartizione dei contributi del Fondo Unico per lo Spettacolo – che, se si tiene conto che è la prima volta che, in ambito legislativo, si riconosce la necessità di politiche attive per la parità di genere nell’ambito delle arti performative, potremmo definire storico.
Da quel lontano 2000 quando La Escritura de la/s Diferencia/s sembrava uno “strano oggetto”, molte cose sono cambiate, molti passi avanti sono stati fatti, ma molta strada è ancora da fare. “Fare Rete” può significare molto altro. Fare Rete significa stabilire quella connessione sentimentale e quel senso di comunità che è una delle caratteristiche fondanti del “Fare Rete” delle donne. E difatti la Rete di La Escritura de la/s Diferencia/s – una rete internazionale di donne del teatro – ha rappresentato, durante la pandemia, una grande risorsa, anche affettiva. È stato importante ritrovarsi in quel momento difficile con persone che condividevano gli stessi valori, le stesse preoccupazioni, la stessa necessità di non fermarsi creativamente. Abbiamo realizzato molti progetti di scambio artistico e culturale e di creazione collettiva come il Programma Radiofonico (Radio Cabrera) “Dones dramaturgues del món ens expliquen el seu confinament” – o il Testo Collettivo Garúa, presentato al Festival Mujeres en Escena – Tiempos de Mujer (Ecuador). Ma anche a Napoli, La Escritura de la/s Diferencia/s, nonostante il fatto che la sede centrale sia a Cuba, ha continuato a rappresentare essa stessa una comunità: tante le artiste, organizzatrici, intellettuali, giornaliste e politiche che, in questi anni, ci hanno accompagnato e con le quali abbiamo fatto un pezzo di strada assieme, nominarle tutte sarebbe impossibile, ma quando ci penso, i loro volti sorridenti, affaticanti per le prove, felici per uno spettacolo ben riuscito, intenti nella lettura dei testi, pensierosi e arrabbiati per le ingiustizie vissute o raccontate, combattivi e entusiasti per una battaglia da fare o un nuovo spettacolo da provare…. mi ritornano tutti in mente e rappresentano la mia comunità, il mio luogo delle connessioni sentimentali.
Alina Narciso, novembre 2022. Per ulteriori approfondimenti sulla "Rete per la parità di genere nelle arti performative" si rimanda all'intervista realizzata da Renata Savo, nell'articolo "Pordenone chiama Napoli: da un incontro a una rete", pubblicato nel volume "La scena delle donne" (Ed. BeaT 2022)
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