Sono Stefania, ho 42 anni e sono la Presidente dell’organizzazione culturale Officinae Efesti.
Nasco con il teatro, anche di riflesso: mio padre faceva l’attore tra gli operai dell’Alfa Lancia negli anni ’60/’70 e con lui ballavamo il rock and roll acrobatico, inscenando spettacoli per la famiglia: ci inventavamo di essere dei grandi ballerini hollywoodiani, al cospetto dei nostri familiari, durante i giorni di festa.
Sin da piccola ho fatto di tutto pur di fare l’attrice. Ho cominciato a “calcare le scene” a 6 anni, quando in prima elementare mi scelsero per fare il personaggio della “presentatrice”, in una recita scolastica. Probabilmente, ha vinto il sorriso e la mia simpatia, perché ero la metà dell’altra concorrente, in quanto ad altezza, e dovevo proprio presentare dei bambini/animali in un Palazzetto dello sport alto almeno 5 metri: 5 volte la mia altezza, praticamente…
Ma non mi imbarazzai, anzi ero molto fiera di indossare la gonna di cotone rosa cucita dalla nonna sarta, di parlare (a memoria) con un microfono e di portare con fierezza un fiore (rosa) in testa, con un pubblico rumorosissimo che mi guardava, tra mamme e bimbi della Scuola, venuti lì alla “recita di fine anno”.
Nasco e vivo a Casalnuovo (il Paese dei sarti) fino ai 19 anni, poi decido, contro la volontà di mia madre e famiglia, di andare a vivere a Napoli, per studiare proprio il teatro che tanto amavo e per andare a vedere gli spettacoli tutte le sere, senza che nessuno obiettasse questa scelta.
A Napoli, mi iscrivo a Filosofia, all’Università Federico II di Napoli, scelsi il ramo filosofico-artistico-letterario, sostenendo esami di Estetica, di Storia del Teatro e di Letteratura Teatrale e laureandomi proprio con una tesi sul Teatro, dal titolo L’Arte del Teatro: organicità- verità-trascendenza con le cattedre di Filosofia morale e Storia del Teatro moderno e contemporaneo.
Studio e lavoro per mantenermi gli studi e comincio anche una collaborazione con il Teatro Nuovo per circa 2 anni, che segnerà il mio percorso formativo. Perché da lì in poi comincio a studiare il teatro a tutto tondo.
Il primo maestro che incontro è un giapponese, Hal Yamamouchi, a cui devo la mia stima per l’Oriente e l’amore per l’hatha yoga. Difatti oggi una delle mie grandi formatrici è Ang Gey Pin, con cui sono entrata in stretta connessione, soprattutto sui canti vibratori, che ha ereditato dal maestro Grotowski.
Nel 2003 Agostino Riitano ed io fondiamo l’Associazione Culturale Officinae Efesti, che diventa tale dopo 3 anni di lavoro come gruppo teatrale, fondato con 6 colleghi universitari.
Dal 2003/2004 mi occupo di pedagogia teatrale, insegno nelle Scuole e non solo provando a trasferire la mia essenza di corpo puro, attraverso la mia formazione ibrida: lavoriamo nei campi rom, nel carcere minorile di Nisida, negli ex centri manicomiali, nelle chiese sconsacrate, nelle cripte, nei boschi, sui pontili, laddove è possibile lasciare libere le espressioni, le emozioni, come il vento, dando vita a percorsi di formazione che si chiameranno “Spazio Altro”, “Radici” “Welcomelab”, “Birds Canticum”.
Dal 2005 sono un’operatrice teatrale nelle Aree di disagio e Carceri a tutti gli effetti.
La mia formazione è lunga 18 anni. Penso che anche nel nostro mestiere bisogna sempre aggiornarsi, per essere sempre al passo con gli allievi, che siano bambini o adolescenti, per prendercene cura con attenzione. Mi dedico molto ai miei allievi e da circa 5 anni curo la direzione artistica dei nostri percorsi formativi.
L’ultima visione importante ha coinvolto 600 tra bambini e adolescenti, artigiani, imprenditori, insegnanti, giornalisti, video-maker, danzatrici.
È stata una bella sfida, il progetto si chiamava “La Grande Bellezza” ed ha vinto anche un premio importante come miglior progetto di innovazione sociale, per il carattere multidisciplinare e per l’importante formazione fatta agli studenti, avendo come obiettivo il recupero del patrimonio culturale e l’inclusione sociale. Un’esperienza innovativa puntata sul valore della comunità.
Il teatro è per me un patto con la vita, perché negli anni, per problemi personali, ho dovuto, spesso, interrompere la pratica e mettere fine all’idea di fare l’attrice professionista.
Ma nel trasferire il mio bagaglio porto avanti un metodo che sicuramente ha del femminile e del femmineo, ovvero quello di parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della comunità o delle singole individualità. Il mio modo di fare teatro è una rappresentazione completamente aperta verso tutti i sensi della percezione, come in un sistema di forza e coscienza femminile.
Nei miei workshop sperimento i linguaggi non verbali e la drammaturgia del corpo: partendo dall’ascolto e dall’allenamento di base dell’attore lavoro alla composizione individuale e collettiva, allargando i confini della consapevolezza.
E questo è anche il mio approccio anche nell’ambito organizzativo, cerco di entrare nell’ascolto totale dei partner, delle idee altrui, seguo i flussi e ascolto i bisogni delle comunità e di ciò che accade intorno. L’idea “Le vostre storie, la nostra voce” che ho avuto durante il lockdown ne è una dimostrazione.
Ogni volta che conduco dei laboratori dico sempre agli allievi: “Consideratevi come un’opera d’arte vivente. Il teatro è tutte le arti per cui fate le azioni e gli esercizi immaginando di dipingervi in un quadro, come se foste degli architetti, quindi attenzione agli spazi che occupate, come se foste degli scultori, per cui attenti a come usate i muscoli, come se dovesse fotografarvi, per cui siate nitidi nelle cose che fate; siate poetici, abbiate un ritmo preciso e danzate liberi come farfalle, come se nessuno vi stesse osservando”.
Oggi, Officinae Efesti si occupa di progettazione culturale, di produzione artistica e innovazione sociale attraverso l’arte, ma soprattutto si occupa dell’umanità e crea arte nel cuore delle periferie, trasformando lo scetticismo, a volte anche il rifiuto dell’arte e della bellezza, in progetti concreti che arricchiscono e trasformano la vita di chi li accoglie, li vive, li realizza. E’ formata da un terzo da donne ed ha numerose consulenti donne, a partire dal nostro ufficio stampa, la fotografa, etc.
Dopo la riforma del terzo settore, vorremmo trasformarci in un’Impresa a tutti gli effetti, che però non dimentichi le sue origini nel Teatro e per il Teatro e vorrei farlo per crescere in quanto donna ed imprenditrice. Ma la strada è ancora lunga per la sfiducia (seppur parziale, per quanto mi riguarda) che si dà alle donne, come manager, imprenditrici culturali. Difatti la gran parte del nostro comparto è diretto da uomini, noi donne siamo formatrici, operatrici, coadiuviamo nell’organizzazione, ma la sfida è proprio diventare anche delle imprenditrici culturali oltre che delle formatrici ed esserne riconosciute come ruolo.
In realtà già dal 2013 mi prendo cura della direzione artistica di alcuni nostri progetti, dirigo o co-dirigo la parte organizzativa insieme ad Alessandra Magnacca, dirigo l’area della comunicazione e per altri sono stata anche project coordinator per progetti di formazione con Aziende americane. Attualmente coordino un team di comunicazione e di animazione socio-territoriale per un progetto per il Comune di Napoli.
Amo entrare negli occhi degli altri, una parte del corpo molto bella, e perché per me gli occhi dicono tutto.
Cura, fatica, impegno, visione, condivisione reale: elementi indispensabili per vivere l’esperienza della bellezza, che dal mio desiderio infantile si è trasformata in un paradigma del mio agire quotidiano; lavoro per seminare, coltivare, lasciarmi attraversare da ciò che è concreto ed autentico tramite percorsi pedagogici artistico/culturali.
Ma devo tutto al teatro!
Se non ci fosse stato il Teatro, non avrei saputo fare altro. Il Teatro è tutta la mia vita. E come direbbe Arthur Miller: “il teatro è così infinitamente affascinante perché è così casuale. È come la vita”.
Stefania Piccolo
organizzatrice e formatrice teatrale
Settembre 2020, Progetto Donne e impresa teatrale in Campania